Il Castello di Federico II a Siracusa, poi detto Maniace, viene costruito fra il 1232 e 1240.
Per quasi tutto il XV secolo il Castello è una prigione.
Alla fine del XVI secolo, nel piano più generale di fortificazione della città, Castello Maniace diventa un punto nodale della cinta muraria, progettata dall’ingegnere militare spagnolo Ferramolino. Il 5 novembre 1704, una furibonda esplosione avvenuta nella polveriera sconvolge l’edificio. Brani di crociere e blocchi di calcare vengono lanciati nel raggio di diversi chilometri.
Negli anni successivi si appresta la ricostruzione, che lascia intatte le parti rovinate dall’esplosione, mentre si creano tamponature per la realizzazione di magazzini. In età napoleonica il Castello rivive con funzioni militari e viene munito di bocche da cannone. Nel 1838, a salvaguardia dei moti che stavano scatenadosi in tutto il regno, i borbonici di Ferdinando vi innalzano una casamatta.
Il Castello viene consegnato al Regno di Savoia ed utilizzato fino alla seconda guerra mondiale come deposito di materiale militare. Attualmente è in restauro.
Il nome di Castello Maniace gli deriva da Giorgio Maniace, generale bizantino che nel 1038 riconquista per breve periodo la città dagli Arabi e porta in dono due arieti bronzei ellenistici, che poi vengono posti all’entrata del Castello svevo, che ha impropriamente conservato il nome del condottiero.
Il Castello Maniace è situato sulla costa, a dominare da un lato il mare e dall’altro la città. Sorge sulla punta estrema di Ortigia, all’imboccatura del Porto Grande in una posizione strategica molto importante dove, nei secoli della lunga storia della città, sono stati sempre presenti insediamenti militari.
LA PIANTA
L’attuale pianta del Castello presenta una serie di aggiunte successive, tali da stravolgere del tutto quello che doveva essere l’assetto originario. Si giunge al Castello attraverso un ponte di pietra che sostituisce l’antico ponte levatoio posto su di un fossato di acqua di mare a difesa tutto intorno al Castello.
Era di pianta quadrata, chiuso agli angoli da quattro torrioni cilindrici, ogni lato misurava 41 metri. All’interno, in forma perfettamente modulare, vi era un’unica sala scandita da colonne con 5 campate per lato. Le venticinque campate quadrate erano disposte in duplice ordine attorno ad un atrio ad impluvio, la loro copertura era costituita da volte a crociera sorrette da semicolonne (16 nei lati e 4 angolari).
L’ASPETTO ESTERNO
Il primo contatto che si ha con l’edificio svevo è filtrato dal Grande Portale che si apre sul lato nord del Castello. Le sue dimensioni sono di 8 metri d’altezza e 5 metri di larghezza. Il portale si apre su un’ogiva cordonata, impreziosita dalla policromia dei marmi che spicca sulla calda doratura del calcare siracusano. L’arcosolio presenta una strombatura a tre gradini ed una bella cornice che si svolge a nastro attorno alla ghiera dell’arco. La cornice si frastaglia in foglie d’acanto distese a palmetta. La vera e propria ghiera dell’arco è listata da una cornice più piccola con lo stesso motivo. Sono scolpite nella medesima breccia rossa e posano a loro volta sopra gli abachi di due eleganti capitelli. Tutto ciò fa pensare a maestranze cistercensi presenti nel cantiere di Siracusa, ipotesi che sembra essere confermata da alcuni capitelli dell’interno. A fianco del portale si notano due mensole, ornate fino al 1448 da due arieti in bronzo di età classica, di cui uno è ancora conservato al Museo Nazionale di Palermo.
LE TORRI
Solenni e potenti sono i quattro torrioni le cui masse si stagliano a picco sul mare con vivace policromia di calcari. Dalle torri si può salire, per scale a chiocciola, al di sopra delle crociere, ad un piano terrazzato da dove si domina tutto il Porto Grande di Siracusa. Gli scalini monolitici che si avvolgono attorno alla colonna portante, sono illuminati da strettissime feritoie.
Nei vestiboli si ritrovano vaghe raffigurazioni in pietra di un’aquila staufica, di un fiero volto umano, molto simile alle iconografie di Federico, di un giudice, di un giovane servo contorto nello sforzo di togliersi una spina dal piede sinistro e di alcuni “ignudi”, che ricordano quelli della volta della torre ottagonale di Castel del Monte.
LA FINESTRA A MARE
Sulla parete di sud est si apre una grande finestra. La decorazione riprende quella policroma del portale. Originariamente doveva essere una bifora aperta almeno un metro al di sopra dell’attuale piano di calpestio (che è quello del forte cinquecentesco). Solo successivamente venne trasformata in una grande monofora. E’ possibile che la finestra appartenga ad un secondo momento, sempre di età sveva, allorché nuove esigenze decorative resero necessarie delle innovazioni non comprese nel piano originario.
LA FUNZIONE
La funzione di Castello Maniace era quella di farsi vedere da lontano: primo baluardo della cinta muraria, visibile ai naviganti “stranieri” coi quali Siracusa entrava in contatto, visibile ai nemici che intendevano attaccare la città, visibile in ogni punto ai cittadini stessi, a memoria della ribellione del 1232, sedata nel sangue , e della forza con la quale si poteva reprimerne qualunque altra. La prima considerazione critica nasce dalla struttura geometrica della pianta ed in particolare dalle combinazioni di quadrati e circonferenze, adottati per la prima volta dall’architettura sveva con precisione matematica, qui a Siracusa.
La scelta delle figure geometriche non è certo casuale. Il quadrato, il 4, nel Medioevo era il numero della terra, della Chiesa rivelata attraverso le 4 virtù teologiche; per gli Orientali 4 erano le sembianze della divinità; per i Greci i famosi 4 elementi primordiali facevano capo alla scuola presocratica. Il cerchio è il simbolo della perfezione che ha inizio e fine in sé, per gli Orientali è il sole e la vita, presso i Greci è il cosmo.
E’ noto che l’architetto medioevale usava i numeri pitagorici e i numeri musicali con la stessa confidenza con la quale usava le regole geometriche. Ogni numero era inscindibile dal proprio significato simbolico. A Siracusa è stato usato con insistenza il numero 5 (le crociere) ed il 4 (i lati), ma il 5 non è altro che la somma del 2+3, di due numeri primi della serie di Leonardo Fibonacci. E’ la serie di numeri (1,2,3,4,5) che dà ordine all’universo ed alle arti applicate. Federico II stesso ebbe diversi contatti con il Fibonacci, sommo matematico medioevale. La serie di Fibonacci è 1,2,3,5, numeri in cui ognuno è la somma dei due che lo precedono. Nella pianta di Castello Maniace, leggendo i numeri come simboli, il quadrato rappresenta la terra ed il cerchio il sole.
La teoria dei duo luminaria era stata proposta in quegli anni con particolare veemenza da Innocenzo III, l’ex tutore di Federico II: il papa, discendente da Dio, rappresenta il sole, che fa brillare la luna, l’imperatore, della propria luce riflessa. Così, come anche la luna si assoggetta al sole, l’imperatore dovrebbe sottomettersi al papa, da cui discende il motivo dell’autorità e tutti i poteri sulla terra. E’ evidente che la volontà di Federico II di identificarsi col sole si commenta da sé. Spesso Federico II era stato chiamato “Re Sole” e non poche volte era stato riproposto il simbolo della corona di raggi. Il ritornare costantemente al simbolo è una prerogativa dell’architettura sveva; la pianta di Castello Maniace al di là dalle attinenze architettoniche deve aver senza dubbio avuto tali riferimenti iconologici: torre-cerchio-sole(Cristo)-impero-Federico; pianta-quadrato-terra-impero. Senza voler giungere alla polemica anticlericale Sole (Cristo)=Federico II e non papa, si deve vedere, in questa importante costruzione sveva, un’ulteriore affermazione del potere temporale di Federico II su quello spirituale e temporale assieme della Chiesa. Oltretutto a Castello Maniace è possibile ritrovare in una mensola la chiara simbologia dell’aquila staufica. L’aquila è un simbolo latino-germanico dove si fondono il potere sacerdotale, la saggezza giuridica e il valore guerriero espresso nell’aggressività. Un ulteriore problema è stato sollevato sul Castello in quanto tale: la sua realizzazione prevedeva un uso militare. Per la sua ubicazione, appare verosimile attribuirgli anche una valenza militare, ma così come era stato costruito appare inidoneo per fornire alloggio ad una guarnigione.
Tutto qui pare creato per la gioia dello spirito e la realizzazione di un affascinante sogno d’arte, non turbato dalla necessità di accomodamenti pratici. Considerato, però, il periodo della sua costruzione (dopo la rivolta del 1232), il castello doveva indubbiamente acquisire una spiccata valenza militare. Tutti gli studiosi hanno accettato l’ipotesi che il castello avesse due piani un piano abitabile piano che aveva funzioni estetiche e ricreative, mentre il secondo funzioni militari e logistiche.